
E’ un elemento ormai contestualizzato nella nostra abitudine alimentare, per certi versi, anche tendente verso il basso. Ognuno può nutrirsi come vuole ma alle volte quel trancio di pizza al bar mi mette un po’ di tristezza… Perchè per me la pizza ha voluto dire grandi momenti, ha segnato vere e proprie fasi della mia storia. La prima quando ero piccolo, un bambino e mio padre decideva che quel sabato sera si usciva a mangiare la pizza era come addentrarsi in un’esotica avventura… Allora, le pizzerie non erano frequenti come ora, si andava in pizzeria con lo stesso senso di novità con cui adesso si va in un ristorante esotico appena aperto in più con la magia che era una prima assoluta e pizza voleva dire uscire di sera, camerieri che portvano antipasti e la “Bella Napoli” che transitivamente avevo passato dal nome della pizzeria alla signora in carne che la gestiva. Poi ci fu la pizza dell’adolescenza, quella che paradossalmente mi “liberò” dalla protezione dei genitori e mi fece uscire con i primi amici da solo… Pizza, birra e profiteroles 🙂 C’è un’altra pizza che ricordo con piacere: quella che mangiavo alle 7 del mattino fumante dopo aver preparato i miei primi notiziari in radio. Me la serviva un napoletano che si chiamava Antonio che me la accompagnava con un robusto bicchiere di vino e mi intimava con delle mani che sembravano badili “MANCIA!” che per lui voleva dire mangia… La pizza le sere d’inverno rientrando tardi dal lavoro con una bottiglia di vino in una cucina provvisoria come tutto il resto intorno a me… Si fa presto a dire “la pizza”, ne ho viste di cose mangiando la pizza…:-)
Settembre 5, 2010
Si fa presto a dire pizza.
La pizza é: la prima scusa per uscire da sola nel periodo bambina/adolescente; l’invito di uno che ti piaceva cui anelavi al liceo; il momento di pausa dagli studi e cazzeggio ( più cazzeggio che pausa) all’università; è un lusso per eccesso di carboidrati nella mia fase adulta; è un metro di giudizio per capire se la persona con cui sto gustando la pizza mi va a genio o meno…si, è proprio così. Scartate a priori le persone che la ordinano col pesto o con l’uovo; qualche possibilità in più per coloro che si informano con moderazione sulla qualità degli ingredienti; in pole position coloro che la amano alla napoletana.
E che dire delle modalità con cui i mei commensali si approcciano al taglio? 10 a coloro che la tagliano a spicchi, con ordine; 4 a quelli che che la tagliano disordinatamente, e 2 a quelli che iniziano a mangiarla al centro.
Sul taglio sono veramente categorica. Insomma…le persone per stare bene con me devono superare la prova pizza, a loro insaputa ovviamente.
Si fa presto a dire pizza.
Settembre 5, 2010
Il commento precedente è il mio..sarò pure una scassapalle sulla pizza ma internet lo so usare veramente di merda…
Settembre 5, 2010
Passo….
Settembre 5, 2010
Io odio quelli che lasciano i bordi… Devo dire che la selettività da parte mia la rivolgo verso i pizzaioli. Intanto, scarto per sempre quelli che fanno le pizze piccole e spesse, io amo la pizza ampia, non trasparente ma sottile, un bordo che non sia una montagna rocciosa (comunque lo mangio) e quei bei forni a legna in vista…:-)
Settembre 5, 2010
Ohi, Ohi…
Giovanni, dovessimo incontrarci ad una delle riunioni de “il pranzo di babette” fa che non sia una pizzeria per favore…. :O)
Settembre 5, 2010
ciao jac! mi hai stanato con la pizza. è una delle due,tre cose a cui non so resistere.
alta, bassa, croccante, gommosa, ma che sia da ustione. bianca, con tanta mozzarella, gorgonzola e cipolle…mi tolleri ancora, ora che sai?
Settembre 6, 2010
La pizza amarcord! Bel post, Giac. Anche per me il pensiero della pizza mi riporta all’infanzia e a quelle uscite rare e quasi trasgressive del sabato sera in cui “si andava coi genitori a mangiare la pizza”.
Poi sì, le prime uscire serali con compagni di liceo, il permesso per uscire a mangiare una pizza e basta, poi si torna a casa. La pizza, il massimo di autonomia economica che riuscivamo a permetterci per avere la sensazione di sentici grandi e cenare fuori.
Poi le prime “uscite galanti” quando i corteggiatori o fidanzatini più di offrirti una pizza non potevano permettersi (ma quanto era più buona di una cena al ristorante elegante lì accanto? Quanto valore aggiunto avevano quelle farfalline nello stomaco che trasformavano una coca cola nella bottiglia di miglior champagne?).
Poi basta. Mi sono un po’ stufata della pizza. Sarà anche l’intolleranza ai lieviti ma devo dire che preferisco un buon piatto di pansoti o un minestrone alla genovese. Se vado a mangiare fuori la pizza è la penultima scelta. L’ultima è il cinese 😉
Settembre 6, 2010
La pizza amarcord! Bel post, Giac. Anche per me il pensiero della pizza riporta all’infanzia e a quelle uscite rare e quasi trasgressive del sabato sera in cui “si andava coi genitori a mangiare la pizza”.
Poi sì, le prime uscire serali con compagni di liceo, il permesso per uscire a mangiare una pizza e basta, poi si torna a casa. La pizza: il massimo di autonomia economica che riuscivamo a permetterci per avere la sensazione di sentici grandi e cenare fuori.
Poi le prime “uscite galanti” quando i corteggiatori o fidanzatini più di offrirti una pizza non potevano permettersi (ma quanto era più buona di una cena al ristorante elegante lì accanto? Quanto valore aggiunto avevano quelle farfalline nello stomaco che trasformavano una coca cola nella bottiglia di miglior champagne?).
Poi basta. Mi sono un po’ stufata della pizza.
Sarà anche l’intolleranza ai lieviti ma devo dire che preferisco un buon piatto di pansoti o un minestrone alla genovese. Se vado a mangiare fuori la pizza è tra le ultime scelte, per quanto la mangi, se capita (crosta compresa, ovviamente).
Ah, una precisazione: è questione di gusti ma tra la pizza e la pizza napoletana (cioè quella alta) io non ho dubbi e scelgo rigorosamente la prima! 🙂
Settembre 6, 2010
Saluto la Scivit… Come stai? E dopo aver mangiato quella pizza? 😀 Lo sai che ti adoro 😀
Settembre 6, 2010
Cara Ba, ti ringrazio…:-) Eppure, credo che ci sarà ancora qualche pizza nella nostra vita… Mi viene in mente il finale del libro di McIrney “Le mille luci di New York” quando il protagonista alla fine nauseato e sfatto (sintetizzo) va in una panetteria e riscopre il profumo del pane e il suo gusto… Io credo che quella pizza, di quando ero piccolo intendo esista ancora, da qualche parte, dentro di me (non necessariamente nello stomaco) 😀
Settembre 20, 2010
hi again
Sky