Risorgimenti possibili

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La sbronza dei 150 anni di unità nazionale è passata. E’ stata l’occasione per riflettere sulla nostra, cultura, le nostre origini e anche per dire e fare un’ampia quantità di cazzate (Il caffè dei consiglieri regionali leghisti di Milano durante l’inno nazionale la metto al primissimo posto) . Finita la festa ci siamo ricalati nell’obbrobrio dell’incubo presente, nell’Italiaccia sgangherata e neofascista di oggi che omaggia i caduti di Salò, non telefona a Gheddafi per non disturbarlo ma presta le basi agli aerei che vanno a bombardarlo e che passa il tempo tra una bomba e l’altra a guardare “l’isola dei famosi”. Sembra che l’unico risorgimento possibile sia tenere botta e aspettare che passi la crisi, la nube radioattiva, la guerra, le olgettine e i SUV (la lista potete continuarla a vostro piacimento, anzi chi ne ha voglia può postarla).
Il brano che allego è la prefazione della raccolta di racconti “Anteprima Nazionale” a cura di Giorgio Vasta, una delle considerazioni più intelligenti che ho letto negli ultimi anni e il brano musicale è l’ennesima perla di “Sora Cesira” dedicata alle “olgettine”

C’è un’Italiona di rappresentanza – Una specie di dottor Balanzone finto colto e presuntuoso, magniloquente e moralista (ma di un moralismo semplificato e servile, più gastrico che viscerale, incapace di confrontarsi con la complessità dei fenomeni: in sostanza un moralismo senza morale) – intorno alla quale come un rampicante intorno a un traliccio scorre e si attorce L’Italietta bieca, querula e petulante, altrettanto gastrica, l’Italietta dei luoghi comuni tradotti in realtà quotidiana, un paese paracattolico, idolatra e ferocemente iconoclasta, un Pulcinella da intendere – fuori dalla vulgata della commedia dell’arte – a partire da uno dei suoi possibili etimi: il pollo pulcino, ovvero l’animale ermafrodita, maschio e femmina insieme, incapace di riprodursi, inadeguato a generare conseguenze.
Conficcati in questa massa protozoica parossisticamente percorsa da un chiacchiericcio fittoe continuo una vera e propria tessitura di voci alla quale appare impossibile sottrarsi e travolti da questa velocissima inerzia, il limite storico che continuiamo a riconoscere è proprio la nostra strutturale inconseguenza.
L’Italia sa, l’Italia ha le prove eppure l’Italia non agisce. Non produce un cambiamento che abbia un senso, resta speranza disperata che non sa farsi realtà. Quello che ci manca è il fare. L’analisi, la comprensione delle cose, dei fenomeni, c’è. Le azioni no. Nessuna germinazione reale, nessuna conseguenza percepibile. L’animale è sterile. A questo svuotamento delle prospettive ci siamo abituati. E ci siamo abituati al fatto che a latitare, da sempre, sia l’Italia, senza accrescitivi o storpiature del nome, un paese decente, il luogo di una parola seria (e non seriosa), di una parola che smettendo di essere esornativa e programmaticamente interlocutoria (la parola – passatempo) recuperi l’ambizione di essere attiva e fertile.

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