
I greci lo sapevano. Assistere a una tragedia benchè fossero in un teatro, non era come andare a vedere una commedia con Marco Columbro, si trattava di un esercizio spirituale a tutti gli effetti. Le storie di Oreste, Antigone, Clitemnestra e Edipo non erano a distanze siderali dalla loro esistenza pur essendo miti, erano vicende con cui era fondamentale confrontarsi per comprendere meglio la misura dell’umano, le dinamiche che s’innescavano quando ci si trovava costretti a confrontarsi in condizioni estreme con avvenimenti che mettevano alla prova le dinamiche interne dell’individuo, episodi violenti e crudeli, spesso prodotti da divinità dispettose, che insidiavano l’equilibrio della persona, irrompevano e rovesciano la linearità e la quotidianità delle cose umane. Tragedie, appunto. E i greci lo sapevano, che la tragedia era dietro l’angolo, collettiva e personale, irrompeva sulla scena, improvvisa e inaspettata e sulla scena i protagonisti la rivivevano come dall’inizio dei tempi con la stessa violenza, follia e disperata umanità. I greci lo sapevano che poteva accadere e si preparavano. Scrutavano i personaggi, li studiavano minuziosamente, ascoltavano le loro parole, ponevano delle domande. Come può una donna divorare i suoi figli? Perché un uomo può arrivare al punto di uccidere sua madre? Perché una sorella decide di rischiare la sua stessa vita per una degna sepoltura del fratello? Cosa è giusto? Come l’animo umano si comporta di fronte alla sua stessa crudeltà ai suoi stessi errori? Perché gli uomini possono commettere tali empietà? I greci lo sapevano, che la tragedia è un avvenimento improvviso a cui bisogna preparare lo spirito perché è immanente e eterna, è una rivolta della realtà che oltre a distruggerci materialmente irrompe nera nella nostra stessa vita, trascinandola via. I greci sapevano e seppur con timore guardavano e riflettevano su Medea e gli altri, ne esorcizzavano i comportamenti perché sapevano che pur essendo estremi li riguardavano da vicino.
I greci lo sapevano, e ogni volta che assistevano a una tragedia lo facevano insieme per esorcizzarla collettivamente. I greci lo sapevano, noi a quanto pare, non più. La tragedia è stata rimossa e quando accade come è successo a Genova, ci ritroviamo spauriti alla ricerca impazzita e impotente di verità, negando evidenze e nascondendoci dietro le parole grigie e violente del non-essere della burocrazia politica, lo spettro lontano della coscienza della polis, la consapevolezza della comunità luogo laico e spirituale nello stesso tempo. La tragedia non esiste più e la colpa è rimossa perché non esiste, ma se si negano le evidenze allora non ha più senso nulla e la “realtà” è relativa e non ha più significato. La comunità deve dare un senso alle cose che accadono nel bene e nel male e tentativamente dare un ordine alla realtà. La politica dovrebbe avere questo compito e non allontanarsi dalla verità per non mettere a repentaglio l’algebra astratto di quella piccola porzione di potere che si illude di aver conquistato. I greci insegnavano che i re e le regine erano prima di tutto uomini e donne, come tutti gli altri e che tutti dovevano mettersi in gioco davanti al destino offrendo in sacrificio anche la propria vita per salvare sé e la comunità dai vortici oscuri della tragedia con cui non si poteva barare. In questo caso i demoni, proprio così evocati, avrebbero perseguitato in eterno il reo che con la sua stessa colpa alimentava la malvagità e la forza delle Erinni. Erano gli eroi sconosciuti allora, che salvavano dalla rovina la comunità, eroi capaci di mutare la catastrofe in redenzione di provocare la catarsi della tragedia con il loro sacrificio e il loro esempio. La comunità si riconosceva in loro e da un semplice gesto o da un sacrificio eroico traeva la linfa per una nuova forza, per un nuovo linguaggio per la rigenerazione della stessa vita. Si riparte dai gesti, dal sacrificio del volontario Sandro Usai, dal vigile urbano con l’acqua sino alla cintola impegnato a sorreggere un anziano in difficoltà, al vigile del fuoco stravolto dalla fatica che continua perché sa che nessuno verrà a dargli il cambio, ai tantissimi che si sono riversati per strada per offrire semplicemente il loro aiuto. La tragedia evoca le Erinni se la rinneghi ma queste diventano Benevole, spiriti benigni, se la realtà viene accettata e tutti hanno più forza e coraggio per affrontare ciò che accade nella vita. C’è una sola politica possibile e non può che partire da qui. I greci lo sapevano, anche questo, noi cerchiamo nuovamente di impararlo.
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