
“Telefonami tra vent’anni io adesso non so cosa dirti, non so risponderti e non ho voglia di capirti” . Di anni ne sono passati trenta da quella prima volta che ascoltai il “Q disc” di Dalla e quella canzone mi precipitò nel mio futuro facendomi immaginare chi sarei stato vent’anni dopo e se Lucio, a quel punto, avrebbe avuto voglia di rispondermi.
Sta di fatto che nell’82, anch’io avevo pochi argomenti con cui spiegare a me stesso l’improbabile futuro che mi aspettava. Leggevo faticosamente Pier Paolo Pasolini. Tra me e me guardandomi intorno, mi dicevo: “Qui è merda”. I vecchi amici del quartiere, sino al giorno prima dei bambini, rimanevano secchi per overdose nei giardinetti dove avevamo giocato qualche anno prima ai cowboy e agli indiani, le compagne di banco, cresciute da un momento all’altro, tutte drammaticamente ispirate da Lory Del Santo e Nadia Cassini, si appartavano con tipi loschi sempre negli stessi giardinetti sino a quando urlanti e piangenti rispuntavano fuori di corsa fuggendo dalle mani del tipo losco che menava sberle. “Qui è merda”, continuavo a ripetere. Quello che diceva Pasolini sul sottoproletariato urbano che stava degenerando, lo leggevo nei piccoli episodi di brutta vita del piccolo quartiere di periferia dove abitavo. Il mondo compatto e dorato della mia infanzia andava a pezzi inesorabilmente, quello che sarebbe accaduto non lo sapevo e, a quanto pare, neppure Lucio Dalla. Che pure ci acchiappava. Dalla era diverso da Guccini, de Andrè o De Gregori. Dalla stava alla cronaca così come De Andrè alla letteratura. “Piero”, “Andrea” e “Marinella” erano personaggi dal respiro letterario, esistevano nel campo di una poetica e dolente riflessione sull’amore, la guerra, la morte e la giovinezza. “Anna e Marco” no, loro erano i miei vicini di casa.
Era questa la marcia in più di Dalla in quel particolare momento, mi parlava della mia vita e “Cosa sarà” non era una canzone ma un mantra vero e proprio. E non solo. Se con “Cara” e Mambo” diede le parole a significare qualche cocente delusione amorosa del periodo “Dov’è quel cuore marziano se n’è andata sbattendo la porta e avevo in mezzo la mano” con “L’anno che verrà” spiegò tutto quello che c’era da dire sul periodo, profetizzando gli anni difficili che si stavano preparando e quel particolare momento storico che allora con una parola venne battezzato “riflusso”. Era una dinamica ma anche un’aria che si respirava, mentre i governi Andreotti si succedevano e la spirale di violenza del terrorismo si avvitava su se stessa cieca e anomica, un’alterità senza volto era la non presenza che dominava la scena. Dalla la individuò con “Siamo Dei” un dialogo tra queste entità “Siamo dei, e ci muoviamo nello spazio profondo corriamo dietro ai tuoni ci pettiniamo e aspettiamo la fine del mondo” e un tipo che opponeva alla fredda supponenza di queste supposte divinità la propria vita, “l’amore di ragazza” e soprattutto l’amico “ con la voce da basso e con una mira che ti stacca la coda di un cane con un sasso se lo tira”. In questo l’ho sempre trovato simile a Pasolini. Dalla non opponeva allo statu quo la politica che dopo la sbronza ideologica degli anni precedenti stava rapidamente esaurendo la spinta propulsiva e aggregatrice, lui opponeva la vita, refrattaria e naif, il vissuto di tipi marginali, l’amicizia e l’amore così come potevano essere vissuti anche nel profondo sottoproletariato urbano in cui si era mutata la popolazione italiana senza accorgersene. Era quello il bello. Se questa era la vita, andava vissuta come in “Meri Luis” dove un regista, un barista, un taxista, un dentista e una stralunata ragazza dalle grandi tette, decidono una loro personale rivolta che non sta nella sovversione del sistema ma nel decidere di dare una svolta al loro destino.
Intanto, gli stadi italiani si riempivano al passaggio trionfale della tournée con De Gregori “Banana republic” . A ripensarci oggi, fu perfetto ma fu il “De profundis” di un periodo che proprio dopo quelle serate bellissime si chiuse definitivamente. La partecipazione e l’aggregazione furono termini che non significarono più nulla e la moltitudine si assiepò davanti ai televisori sulle note della sigla di “Dallas”. Io da allora mi sento un po’ come i marinai della canzone che chiudeva il concerto…
Ma dove vanno i marinai
mascalzoni imprudenti
con la vita nei calzoni
col destino in mezzo ai denti
sotto la luna puttana e il cielo che sorride
come fanno i marinai
con questa noia che li uccide
addormentati sopra un ponte
in fondo a malincuore
sognano un ritorno smaltiscono un liquore
affaticati dalla vita piena di zanzare
che cosa gliene frega
di trovarsi in mezzo al mare
a un mare che più passa il tempo
e più non sa di niente
su questa rotta inconcludente
da Genova a New York
ma come fanno i marinai
a fare a meno della gente
e rimanere veri uomini però.
Marzo 3, 2012
Mi riconosco. Bravo, Giac. Come sempre.
Marzo 3, 2012
Già…
Marzo 3, 2012
Già…
Marzo 3, 2012
mi piace.
Marzo 3, 2012
quando ho saputo che non c'era più, ho pensato subito a telefona fra vent'anni, alla bici da corsa ed agli occhiali da sole. Giac riesci sempre ad esprimere i nostri sentimenti
Marzo 4, 2012
Gran bel pezzo, veramente.
Marzo 4, 2012
Il più bel coccodrillo sul grande Lucio. Grazie, Giac.
Marzo 4, 2012
Grazie, Patrizia…
Marzo 20, 2012
Ciao Gio, bellissimo "pezzo" che coglie bene la vera diversità di Lucio. Io per me posso dire che se oggi sono un musicista lo devo anche a lui; conosci "1983"? E' un pezzo un pò meno conosciuto ma che all'epoca ascoltavo e riascoltavo all'infinito…
Marzo 20, 2012
Adoro quell'album! Sebbene snobbato, musicalmente è fantastico.
Marzo 20, 2012
Certo che conosco 1983… “Ehi, nel ’43 la gente partiva, partiva e moriva e non sapeva il perché…” Anche se la canzone preferisco dell’album è “Pecorella”… Mi aspettavo qualcosa sulla foto del “dentino”, proprio da te… 🙂